
Di Emiliano Pennisi – La giornata era calda e umida come sempre nella stagione estiva, la pioggia cadeva leggera, insistente dal cielo grigio di nuvole spesse. Il piazzale nel cuore della Joint Security Area con i due capannoni azzurri era uguale a come me lo ricordavo, mentre ci arrivavo uscendo fuori dal palazzo della Freedom House, scortato da soldati sudcoreani e americani. Altri, in assetto marziale e con indosso occhiali scuri li vedevo fronteggiare i militari nordcoreani in piedi sullo sfondo, come in un enigmatico gioco di specchi.
Mi diressi verso quel luogo lontano da me ormai solo pochi metri, circondato da un silenzio profondo, da una tensione altissima e quando giunsi nei pressi di uno dei capannoni, vidi di nuovo il gradino di cemento controllato a vista 24 ore su 24, ora come sessantasette anni fa: la Military Demarcation Line, il confine che separa le due Coree, dove il tempo si è fermato. A poca distanza da qui, nel villaggio di Panmunjeom a ridosso del Trentottesimo parallelo, il 27 luglio 1953 venne firmato l’armistizio che sospese la Guerra di Corea, uno dei conflitti più drammatici del ventesimo secolo. Da solo, con i soldati alle mie spalle che mi raccomandavano di non parlare a voce alta e di non fare gesti improvvisi, tornai indietro alla fine di luglio di quasi settant’anni fa.
Quel giorno i delegati delle parti coinvolte nella guerra, l’Onu e gli americani da un lato e i nordcoreani e i cinesi dall’altro, si incontrarono in una delle case del piccolo villaggio. I colloqui erano andati avanti fra alti e bassi dalla fine del 1950 ma poi, dopo molte trattative venne raggiunto un accordo su tutte le questioni riguardanti la futura tregua. Tra le cause per cui le discussioni erano proseguite così a lungo, ci fu la difficoltà di decidere dove sarebbe dovuto passare il confine tra le due Coree e quale sarebbe stata la sorte dei prigionieri di guerra.
Alla fine la Cina e la Corea del Nord accettarono la proposta di considerare come demarcazione la cosiddetta Kansas Line, ovvero la linea del fronte dove i combattimenti erano in corso in quel momento.
E dunque, alle dieci del mattino di quel 27 luglio 1953, il generale nordcoreano Nam Il, in rappresentanza anche dell’Esercito Popolare cinese e il luogotenente generale americano William K. Harrison Jr., per conto delle Nazioni Unite, firmarono l’armistizio là dove allora, come detto, c’era Panmunjeom, presso la città nordcoreana di Gaesong, dieci chilometri a nord del confine.
Lo storico documento venne firmato anche dal generale americano Mark W. Clark, comandante in capo del comando delle Nazioni Unite, da Kim Il Sung, comandante supremo dell’Esercito Popolare nordcoreano e Peng De Huai, generale comandante dell’Esercito Popolare cinese.
Le parti in causa si misero d’accordo nel creare una Zona Smilitarizzata, l’attuale DMZ, che avrebbe diviso la penisola coreana separando le due nazioni mediante un “cuscinetto”. Per questo motivo i rispettivi eserciti vennero spostati indietro di due chilometri dal fronte, in modo che la Zona stessa fosse larga quattro chilometri, mentre la linea del cessate il fuoco divenne la Military Demarcation Line (MDL) che sarebbe passata giusto nel mezzo della DMZ.
Per assicurare il rispetto degli accordi stabiliti, si decise di creare la Joint Security Area, una enclave all’interno della DMZ estesa per circa un chilometro e tagliata a metà dal confine (MDL). In questo spazio le forze armate in ambito Onu e quelle nordcoreane si sarebbero potute muovere liberamente sorvegliandosi a vicenda, ma senza oltrepassare ciascuno la propria parte.
Perso com’ero in questi ricordi, fui richiamato dai soldati sudcoreani con cui entrai, dopo una breve attesa, in uno dei capannoni azzurri, la Conference Room dove oggi come in passato si tengono i colloqui tra le due Coree. Dentro rividi il tavolo delle riunioni con il confine, la Military Demarcation Line appunto, segnalato dai cavi elettrici dei microfoni che dividevano il tavolo a metà.
Trascorsi qualche minuto all’interno di quell’ambiente, vedendo i soldati che mi accompagnavano andare a mettersi di fronte all’ingresso opposto, già in Corea del Nord. Riuscii appena a scattare delle foto e mi condussero fuori. Oltre non si poteva stare.
Camminando a ritroso verso la Freedom House, mi voltai per dare un’ultima occhiata alla scena senza tempo che conoscevo bene: i soldati del Sud e quelli del Nord immobili erano ancora la’ come sempre, uno davanti all’altro a fissare il gradino di cemento, il confine tra i loro due mondi, senza poterlo superare. Qui, a meno di un chilometro da dove sorgeva Panmunjeom, il tempo non vuole proprio passare e la memoria dei tragici eventi e` sempre presente.
Panmunjeom non esiste più. Il villaggio rimase distrutto durante la guerra, ma tutto ciò che ne rimane, come per uno scherzo del destino, è proprio l’edificio in cui 67 anni fa William K. Harrison Jr, Peng De Huai e Nam Il firmarono l’armistizio con Kim Il Sung e Mark W. Clark, i protagonisti di questa storia. Oggi è conosciuto con il nome di Peace Museum e si trova ancora vicino a Gaesong, in Corea del Nord.
Al posto delle poche case e della gente che vi abitava c’è la Joint Security Area, proprio dove mi trovavo adesso, controllata dalle forze armate nordcoreane e da quelle inquadrate nell’Onu, le quali devono sempre tenere a mente che qui è ammesso solo un certo numero di militari e che è possibile portare con se’ solo alcuni tipi di armi.
Seduto nell’autobus che mi portava fuori dalla base di Camp Bonifas, osservavo il soldato sudcoreano in piedi con le spalle all’autista e il fucile in pugno, pensando che nonostante tre anni di guerra, di morti e di distruzione, quello che esiste attualmente è un confine de facto, visto che i coreani del sud e quelli del nord non hanno mai firmato fino a oggi un trattato di pace.
L’armistizio di Panmunjeom, va sempre ricordato, è solo un cessate il fuoco che corre lungo tutto il 38esimo parallelo e impone da 67 anni di fermare le armi, ma è in ogni caso un punto di partenza importante per poter giungere, in un futuro speriamo non troppo lontano, alla fine della divisione del popolo coreano e alla sua riunificazione.
Nonostante tutto questo però, non dobbiamo dimenticare che più di due milioni di persone morirono nel corso del conflitto, molte famiglie persero ogni contatto con i propri cari restando separate fino ai giorni nostri. Le due Coree sono tuttora l’una contro l’altra armate e fino a quando non si arriverà a una pace vera, la Guerra di Corea iniziata nel 1950 non potrà dirsi davvero finita.
