
Lee Jung-seob (이중섭) è tra gli artisti coreani più noti e amati del XX secolo. La sua breve ma intensa vita è quasi una leggenda. Dalla sua nascita, nel 1916, fino alla sua morte a soli quarant’anni, nel 1956, Lee condusse una vita umile e senza riconoscimenti artistici. Solo dopo la sua morte cominciò una rivalutazione critica della sua arte. Oggi, Lee Jung-seob è considerato uno dei grandi maestri dell’arte coreana contemporanea.
Nato nella provincia di Pyongwon (oggi Corea del Nord), ha trascorso la sua vita errando da un luogo all’altro, vivendo in più di dieci città, tra cui Pyongyang, Tokyo, Seogwipo, Busan e Seoul. Malinconia e desiderio d’amore avvolgono i suoi dipinti, ma anche un senso di vuoto e di innocenza.
Gli ultimi anni della sua vita, gli anni ‘50, rappresentano senz’altro il periodo artisticamente più prolifico per l’artista. Sono anni durissimi per lui e per una Corea appena uscita dalla guerra, ma sono anche gli anni che testimoniano l’incredibile spinta creativa di Lee, una forza che lo aiuta a superare la miseria e le grandi difficoltà della vita. In una lettera del 1954, densa di significato, l’artista scrive alla moglie: “L’arte è un’espressione infinita di amore. Quando sei pieno di vero amore, il tuo cuore è in grado di raggiungere uno stato di purezza”. Anche durante il suo ultimo anno di vita, caratterizzato non solo dai soliti problemi economici ma anche da pesanti problemi di salute, l’artista non ha mai abbandonato i suoi pennelli.
Fortemente emblematici di questi duri anni sono i lavori realizzati su carta stagnola. L’artista era un avido fumatore, ma ancor più importante delle sigarette era per lui la carta stagnola dei pacchetti. Riuscendo a fatica a sopravvivere, e non avendo sempre il denaro necessario per acquistare i materiali artistici (tele e colori ad olio), Lee utilizzava la carta stagnola delle sigarette al posto della tela. Le ristrettezze economiche avevano dunque spinto l’artista a inventare una nuova tecnica.I dipinti su carta stagnola vennero realizzati graffiando le immagini sulla superficie argentata, applicando poi la vernice su tutta la superficie, ed infine eliminando la vernice in eccesso e lasciandola solo nelle rientranze incise. L’artista non si è mai posto limiti sui materiali da utilizzare. E’ stato un grande sperimentatore, un vero esploratore della tecnica.
Centrale nella poetica dell’artista è inoltre il toro. L’artista aveva una vera predilezione per quest’animale, in particolare per i tori bianchi, che considerava un simbolo del popolo coreano, caratterizzato dalla pazienza e dalla tenacia nel superare le difficoltà e le avversità della vita. Sono molti i dipinti ad olio di Lee che hanno rappresentato il toro, sono opere cariche di energia vitale, di risolutezza e di audacia, a tratti di ferocia e di primordialità.
Il 6 settembre 1956, Lee Jung-seob moriva in solitudine all’ospedale della Croce Rossa a Seodaemun-gu, nel centro di Seoul. Solo molti anni dopo la sua morte la critica ha cominciato ad occuparsi di lui rendendogli giustizia attraverso importanti lavori di ricerca e mostre personali retrospettive.
